lunedì 31 gennaio 2011

Profumo di Calycanthus

Un’altra settimana è iniziata, col suo carico di lavoro e di freddo, col suo fardello di impegni e forse di ansie.

Ieri, qui in pianura è ricomparsa la neve, una neve che tuttavia non ha imbiancato i tetti, lasciando il paesaggio colmo di grigiore e di tristezza. Oggi, affiora una campagna giallastra bruciata dal gelo dei giorni scorsi che il pallido sole di mezzogiorno non è riuscito a illuminare.

Eppure gennaio è finito, le giornate sono già più lunghe e la terra sotto la sua crosta di aridità sta covando la primavera. E’ il tempo dell’attesa: arida e brulla, dura e legnosa, eppure anche splendente attesa, piena di speranza per la ricchezza che l’inverno porta dentro, per quella vita che prepara nel segreto.

Lo testimonia un fiore che si apre in gennaio, un fiore dalla bellezza discreta, quasi inosservata, ma dal profumo intensissimo e inebriante: il Calycanthus. Quante volte, in questa stagione, il suo profumo mi ha colto per strada - nel buio della sera - come un regalo inaspettato, una sorpresa che ti fa rallentare il passo e cercare l’albero nascosto magari nella penombra di un giardino!

Come il profumo del Calycanthus può illuminare una sera invernale facendocene scoprire la segreta magìa, così anche una musica può restituire sorriso e forse passo di danza al nostro cuore.

Il secondo movimento della "Sinfonia fantastica" di Berlioz dal titolo "Un ballo", è un valzer dai toni delicati ma anche pieni di irruenza e inebrianti come un profumo. Infatti, il ritmo della melodia - sognante e appassionata - ora rallenta e si allarga a sottolineare con garbo la frase musicale, ora si fa più vivace per arrivare poi ad un finale concitato e trascinante.

Su queste note, buona settimana e buon ascolto!

giovedì 27 gennaio 2011

Memorie

Ho sempre pensato che una delle più importanti facoltà dell’uomo, anzi forse proprio la più importante e preziosa - più ancora dell’intelligenza o della sensibilità - sia la memoria.
Senza la possibilità di ricordare infatti, non resterebbe in noi segno alcuno non solo degli eventi della storia, ma neppure di noi stessi.
Senza la memoria non saremmo in grado di riconoscere i volti di coloro che amiamo e la rete di sentimenti che ad essi ci lega. Non sapremmo neppure chi siamo, non potremmo scaldare il cuore al calore dei ricordi, nè ritrovare quel sorriso interiore dato dalla consapevolezza di possedere una ricchezza di cui essere grati.
Ma non ci si può portare sempre dentro tutto, e anche le memorie talora vanno sottoposte a un processo di selezione, perché lo spessore dei ricordi possa diventare luce e non fardello insostenibile al nostro andare. Ci possono essere infatti memorie dolorose che, a un certo punto, è bene gettarsi dietro le spalle : ricordi che, a volte, coltivano solo rancore e ci vedono per così dire seduti sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere del nemico.
Esistono tuttavia memorie altrettanto dolorose che, al contrario, vanno tenute vive perché ricordano quanta fragilità abita il nostro cuore e quanto è breve il passo perché l'essere umano si trasformi in una creatura diabolica. A volte il confine è labile, la linea sottile, il cammino insidioso anche oggi, forse più di quanto pensiamo; a volte, per entrare “nella selva oscura” basta che l'uomo sia solo “pien di sonno”, il sonno dell’indifferenza, della dimenticanza o della ragione.
Per questo, anche qui tra le mie piccole pagine, desidero celebrare oggi, 27 gennaio, il "Giorno della Memoria".
E se ri-cor-dare non è atto puramente mnemonico, ma significa restituire al cuore, ha senso affidare tale ricordo alla voce della musica che sempre sa parlare al cuore e riempirci l’anima della sua bellezza permettendoci di riscoprire - contro ogni barbarie - i tratti dell’angelo che, nel segreto, ci abita.
Ci accompagna il sublime e intensissimo “Lacrimosa” dal “Requiem” di Verdi di cui proprio oggi ricorre l'anniversario della morte.
Buon ascolto! 

venerdì 21 gennaio 2011

"Notte ad Harlem" : la segreta poesia delle cose

Ci circonda un mondo strano, una contemporaneità contraddittoria e difficile da scandagliare che, talora, stende sul nostro vivere quotidiano un velo di opacità rendendolo apparentemente privo di attrattiva.

In realtà, per cogliere lo splendore dell'esistenza al di là della superficie, occorre luce al nostro sguardo, una luce che l'arte in tutte le sue forme - e soprattutto la musica - può aiutarci a riscoprire.
E' l'espressione artistica infatti che, come una sorta di amore, consente di attingere la vera essenza delle cose svelando la segreta bellezza che le abita. Allora, anche la quotidianità più piatta o ripetitiva può rivelare il suo fuoco segreto o le immagini di squallore metropolitano che a volte ci attorniano possono trasfigurarsi ai nostri occhi, permettendoci di scoprire angoli di nascosta poesia.

E' a questo proposito che propongo oggi all'ascolto "Notte ad Harlem", un brano di Giovanni Allevi dal cd "No concept" per il quale il compositore ha preso ispirazione da un suo soggiorno a New York.


E' una melodia semplice e intensa - colorata qua e là da echi gospel e a tratti anche jazz - che restituisce inusitata dolcezza all'immagine del famoso quartiere afroamericano.
Il tema, di grande trasparenza, si ripete più volte all'inizio del brano con lievi varianti, quasi impercettibili dettagli che pure - come si può vedere anche in altri pezzi dello stesso autore - fanno la differenza.

Si tratta di leggeri mutamenti di ritmo della mano sinistra, o acciaccature o arricchimenti della melodia che, con opportuno gioco di pedale, ne accentuano l'andamento sincopato - questi ultimi più evidenti nelle esecuzioni live dove Allevi diventa per così dire interprete di se stesso.


Tuttavia, mai il brano perde il filo della semplicità, neppure nelle parti in cui la tonalità cambia e la melodia si dispiega con sonorità più complesse e impetuose per poi tornare a far fiorire, sommessa, l'intimità delle singole frasi musicali, quasi note sussurrate all'orecchio.


Per quanto la musica di Allevi non sia propriamente descrittiva, sembra qui di respirare con lui l'atmosfera del quartiere newyorchese a cui il compositore, svelandone il cuore caldo, offre un tributo di amore e di struggente dolcezza.

Buon ascolto!

lunedì 17 gennaio 2011

Gennaio

Sono sempre stata affascinata delle rappresentazioni del "Ciclo di Mesi" sia nella letteratura che nelle arti figurative.
Dai sonetti di Folgòre da S.Gimignano agli affreschi del Castello di Trento o di Palazzo Schifanoia a Ferrara; dal ciclo scultoreo di Parma e ancora di Ferrara a quello della Pieve di Arezzo, tutti mi hanno sempre colpito per la vivacità descrittiva nel raccontare il cammino dell'uomo nel tempo dell'anno.

L'avvicendarsi delle stagioni così come dei mestieri, la neve e la fioritura, la vendemmia e la raccolta del grano, il lavoro e i passatempi sono infatti la celebrazione di un'esistenza che trova nei ritmi della natura e del cielo la propria ragion d'essere, come una sorta di liturgia delle ore del concreto vivere quotidiano.

Tuttavia, al di sopra delle rappresentazioni citate, non si possono dimenticare le famosissime miniature dei Fratelli Limbourg - oggi conservate al Museo Condé a Chantilly - che, tra i vari cicli dei Mesi, rappresentano forse l'esempio più prezioso per ricchezza di particolari e raffinatezza descrittiva.

Siamo all'inizio del XV secolo in Francia, alla corte del Duca de Berry.

Qui, Pol, Jean e Hermann de Limbourg, orafi e miniatori di antica tradizione, creano l'opera considerata il loro capolavoro:
"Très riches heures du Duc de Berry", libro d'ore all'interno del quale si trova appunto il ciclo dei Mesi.

Si tratta di dodici miniature a tutta pagina che, nella lunetta superiore, riportano
la posizione del sole e i relativi segni zodiacali, mentre nella parte sottostante rappresentano le attività tipiche del mese descritto.
E' uno specchio del mondo cortese e contadino dell'epoca reso con ampiezza di particolari: dagli abiti nobiliari di raffinata eleganza, alla campagna con le varie operazioni agricole sempre minuziosamente descritte, alla frequente rappresentazione, sullo sfondo, dei turriti castelli del tempo.


Il mese di Gennaio qui riportato raffigura una scena di corte, un ricco banchetto all'interno di una sala. Al centro della tavola imbandita sta il duca de Berry attorniato da personaggi d'alto rango, mentre alle sue spalle troneggia un imponente camino e sullo sfondo un arazzo rappresenta una scena di guerra.
Vivacissimi i colori tra i quali spicca una splendida tonalità di blu.

Nel contemplare la bellezza di questa miniatura, ci fa da colonna sonora un brano di Ottorino Respighi : il primo movimento ("Italiana") de
lla terza Suite da "Antiche danze e arie per liuto" , trascrizione per archi di un'antica danza del XVI secolo che, a mio avviso, ben si adatta all'atmosfera dell'immagine rappresentata.

Buon ascolto!

sabato 15 gennaio 2011

Una luce nel cuore dell'inverno

Giornate di nebbia queste, almeno qui in pianura, una nebbia fitta che immerge il paesaggio in un indistinto grigiore dove i colori sfumano.

Per quanto possa avere un suo fascino, non ho mai amato la nebbia perchè impedisce di scorgere l'orizzonte e non poter guardare avanti è una sensazione che talora mi toglie il respiro.
Preferisco invece una visuale più ampia, magari anche col cielo coperto.
Ci sono a volte, a primavera, quelle giornate di nuvole cupe, incombenti, dove il vento che precede il temporale spazza la campagna e consente all'occhio di coglierne i particolari fin quasi all'orizzonte. Ecco, quello è il tempo che amo.


Tuttavia gennaio deve passare: va attraversato col suo spoglio tributo di gelo, ma anche di ricchezza profonda, quella che fiorirà a primavera; col suo implicito invito a vivere "dentro" riscoprendo radici che domani daranno germogli, perchè anche nel cuore dell'inverno si cova una vita.


Desidero allora illuminare questa giornata con un brano di
Mozart che, proprio nella sua semplicità, ci aiuta a ritornare alle radici della bellezza.
Come forse mi sono trovata a dire altre volte, quella di Mozart è una semplicità ricca di spessore, frutto di un'elaborazione profonda che si risolve in trasparenza, dove non solo l'intera frase musicale, ma anche la singola nota parla e si carica di splendore.

Sta al tocco sapiente di chi esegue il brano far fiorire sui tasti quella bellezza limpida ed essenziale come un fiore di campo dai colori smaltati, attraverso il ritmo pacato, le pause, la dolcezza degli abbellimenti.


Buon ascolto, allora, con l'
Adagio dalla "Sonata per pianoforte K.332" !



mercoledì 12 gennaio 2011

Ricordando Faber...

Leggo stamattina il bellissimo post del blogger "Amicusplato" (http//semperamicus.blogspot.com L'inverno di Fabrizio De André) che mi ricorda che, proprio ieri, ricorreva il dodicesimo anno dalla morte del cantautore.

Ho amato anch'io le canzoni di
De André, dolcissime e irriverenti, sognanti e coraggiose, testi spesso simili a poesie che, come una lente, scandagliano il profondo del cuore dell'uomo. Canzoni che sono state lo specchio di un'epoca e un po' della mia giovinezza. Ne potrei citare tante.

Ma qui oggi vorrei ricordarne una in particolare,
"La canzone dell'amore perduto", e non solo per la sua tenerezza e il suo fascino disincantato, ma perchè la melodia è la ripresa chiarissima - peraltro dichiarata dallo stesso autore - dell'Adagio del "Concerto in Re magg." di Georg Philip Telemann (1681 - 1767).

E' un'operazione frequente quella per cui autori e cantanti contemporanei riprendono brani di musica classica e, a mio avviso, si rivela interessante sia perchè in alcuni casi ne derivano arrangiamenti di pregio, sia perchè tali rivisitazioni mettono spesso in luce l'immenso, inesauribile potenziale espressivo insito negli autori del passato.

E, dove l'operazione riesce, il fatto di prendere spunto da melodie altrui, lungi dall'essere plagio, diventa una sorta di valore aggiunto.

Così è per la canzone di De André che rilegge la pacata melodia di Telemann in chiave moderna facendone rifiorire la bellezza, sulla scorta del ritmo e del fascino della sua voce inimitabile.

Buon ascolto!

domenica 9 gennaio 2011

Dopo l'Epifanìa...

E’ vero, lo so: l’Epifania - quella che “tutte le feste si porta via” - è già passata. Addobbi e presepi sono da riporre in soffitta fino al prossimo Natale e l’ immagine a lato, che rappresenta ancora un’Adorazione dei Magi, può sembrare quindi anacronistica.
Il fatto è che il giorno in cui bisogna disfare il presepio, per me è sempre stato uno dei più tristi dell’anno e non perché abbia nostalgia dello scintillio dei vari arredi; anzi, rientrare in possesso del ripiano della credenza, sul piano pratico non è poco. Ma, col passare del tempo, sento l’esigenza di un segno interiore ed esteriore …“da non disfare più...”, un’immagine che mi ricordi che il Natale non è un capitolo chiuso come ci si chiude una porta alle spalle per poi ricominciare, magari più stanchi di prima.
Allora, anche alle soglie della ripresa della quotidiana routine, mi piace lasciarmi incantare da questa "Adorazione dei Magi" di Stefano da Verona (Milano, pinacoteca di Brera), che trovo una delle più affascinanti di tutta la storia dell’arte.
E’ una rappresentazione di grande raffinatezza, adorna ed elegante com’è nello stile del gotico internazionale, e in parte simile a quella più famosa di Gentile da Fabriano. Le linee sinuose delle figure umane e degli animali, la delicatezza dei profili, la ricchezza dei panneggi ne fanno una rappresentazione di ambito cortese che ricorda lo sfarzo delle miniature d’oltralpe. E a ciò contribuisce la varietà di particolari ora realistici, ora simbolici, ora esotici o fiabeschi.
Nonostante il dipinto risalga al 1434, l’impostazione spaziale è però ancora incerta e lontana dalle nitide costruzioni di stampo brunelleschiano. In primo piano infatti, la piccola folla davanti alla capanna è inserita un un contesto prospetticamente un po' confuso, mentre le scene sullo sfondo probabilmente rappresentano momenti diversi della narrazione riuniti nello stesso dipinto, come si faceva spesso in pieno Medioevo.
L’aspetto che mi colpisce maggiormente tuttavia è un altro.
Nonostante lo spazio davanti alla capanna sia affollato di personaggi, la scena è piena di silenzio, un silenzio colmo di attesa e di sguardi: quelli più curiosi della piccola folla che si sporge per vedere il Bambino e quelli più solenni dei Magi, visti quasi come una rappresentazione delle tre età dell’uomo.
Sembra che, in tema di Epifania, sia proprio il “vedere” la cifra più significativa del dipinto : gli occhi di tutti rivolti al Bambino con pacata soavità, con silenzioso stupore, come se tutti, al modo di Maria, meditassero in cuore il miracolo di una realtà più grande delle parole.
E’ bello allora, a questo proposito, lasciare spazio alla musica con un famosissimo brano natalizio: la “Pastorale” dal Concerto grosso op.6 n.8 di Arcangelo Corelli.
Ci resti dentro la sua dolcezza anche per i giorni futuri!

Buon ascolto!

lunedì 3 gennaio 2011

"Monolocale 7,30 a.m.": vedere il mondo con gli occhi del cuore

Ho appena finito di leggere un libro che mi ha regalato per Natale una carissima amica.
Si tratta de “Il delfino” di Sergio Bambarén (ed.Sperling & Kupfer), un piccolo testo dalla copertina blu oltremare che ho scoperto essere famosissimo e recentemente uscito anche in versione illustrata per bambini. Ma in realtà, la storia che racconta può dire molto anche agli adulti : una metafora sulla vita e sui sogni che ci portiamo dentro e che chiedono prepotentemente di essere realizzati.
E’ la vicenda di un delfino che non si accontenta di vivere seguendo il branco, ma abbandonate le proprie sicurezze, parte per un viaggio alla ricerca dell'onda perfetta, simbolo del sogno nutrito da sempre nel profondo. Come recita la presentazione del testo, “una storia di coraggio e speranza per coloro che sanno vedere la magia che si cela dietro l'apparenza delle cose”. Quello del delfino è infatti un viaggio d’iniziazione sollecitato dalla sua volontà caparbia di percorrere la propria strada e non tradire il cuore, perché sognare è vedere con gli occhi del cuore.
E mi ha ricordato, per certi aspetti, un altro libro uscito quasi tre anni fa: “La musica in testa” di Giovanni Allevi.
Due letture diverse, certo. La prima, una piccola semplice fiaba; la seconda, un’autobiografia schietta e sofferta. Tuttavia, anche qui, tra leggerezza e profondità, aneddoti e riflessioni filosofiche, il compositore racconta il proprio cammino verso la realizzazione del suo sogno di un’esistenza totalmente dedicata alla musica. Una storia fatta di tenacia e talora di lacrime, ma anche di gioia e incontenibile amore per la vita.

Mi piace allora che il nuovo anno sia inaugurato proprio dalla musica di Allevi con un brano – come racconta lo stesso autore nelle esecuzioni live – nato un mattino, dopo una serata di sconforto, quando un raggio di sole è entrato nel suo monolocale restituendogli coraggio e speranza per il futuro.
Si tratta appunto di "Monolocale 7,30 a.m.", dal cd "Composizioni", un pezzo movimentato e spumeggiante, una cascata di travolgenti acque sorgive dove alle sonorità basse della mano sinistra - ampliate dai particolari timbri del Bosendorfer “Imperial” con cui il disco è stato registrato - fa riscontro un vivacissimo tema pieno di ritmo, orchestrato dalla mano destra in tutta la sua complessità.
La limpida forza di questa musica ci sia di augurio a coltivare i sogni riscoprendo, anche nel cuore dell’inverno, quella primavera che – tutti - portiamo nel profondo dell’anima.

Buon ascolto !